Circa tredici anni fa un mio cugino si suicidò bevendo del pesticida perché era caduto nella trappola del debito legata alle coltivazioni geneticamente modificate (Gm). Non era in grado di ripagare i debiti che aveva contratto. Le lacrime della moglie e dei due figli piccoli sono impressi nella mia memoria. Fu solo uno dei tanti casi di suicidi che avvengono ogni giorno nelle campagne in India. Secondo i dati ufficiali del governo, dal 1995 circa 250mila contadini si sono tolti la vita. «Ogni 30 minuti in India un contadino si uccide» è diventato lo slogan di un recente documentario di Micha X. Peled, Bitter Seeds, che descrive la dura realtà degli agricoltori. Ma chi è responsabile di questa calamità provocata dall’uomo?
UN’ESPERIENZA PERSONALE
Sono figlio di un agricoltore di un piccolo villaggio del distretto di Ramnad, nel Tamil Nadu (India del Sud). Negli anni Sessanta e Settanta mio padre e altri contadini nel villaggio piantavano varietà tradizionali di riso e innumerevoli tipi di miglio (frumentaceo, indiano, panico, paspalo, perlato, sorgo) oltre che verdure, legumi e altri prodotti che non avevano bisogno di fertilizzanti chimici o pesticidi. Questi prodotti richiedevano solo un po’ d’acqua perché le piogge in quella zona sono scarse. Ogni famiglia possedeva piccoli appezzamenti di terra e li coltivava. Mio padre conservava i semi dal raccolto dell’anno precedente e usava come fertilizzanti concime animale e compostaggio.
Oggi, invece, non c’è quasi più nessuno che coltiva questa ricca varietà di miglio o le specie tradizionali di riso e verdure, ma solo prodotti geneticamente modificati. Molti nel villaggio hanno venduto i propri terreni a basso prezzo e si sono trasferiti in città in cerca di lavoro perché la terra non produce quasi più niente, nonostante il lavoro duro. E questo a causa dell’impiego eccessivo di fertilizzanti e pesticidi. Negli anni Ottanta i contadini poco a poco hanno rinunciato alle loro consuete coltivazioni per passare alle nuove varietà di riso Gm che arrivava sul mercato. È vero che all’inizio ebbero raccolti migliori, ma avevano bisogno di più acqua e di fertilizzanti chimici, anche se non se ne accorsero subito. Prendevano denaro in prestito e spendevano di più in fertilizzanti e pesticidi, dipendevano dal mercato per le sementi e spesso, quando le piogge mancavano troppo a lungo, non trovavano altra alternativa al suicidio.
PROMESSE E REALTÀ
La ricerca sugli Ogm iniziò solo negli anni Ottanta, ma è diventata il principale killer di agricoltori degli ultimi trent’anni. Con una popolazione per l’80% dipendente direttamente o indirettamente dal lavoro agricolo, l’India non andava incontro a grandi rischi costringendo i contadini coltivare Ogm? E questi sono stati un vantaggio o una rovina per la nazione?
I loro promotori affermano che: a) il cibo Gm riduce e risolve il problema della fame e della malnutrizione; b) abbassa i costi di produzione, l’impegno lavorativo e gli scarti; c) riduce la povertà; d) aumenta le rese in agricoltura con migliori sostanze nutritive e resistenza ai pesticidi; e) migliora la sicurezza alimentare per una popolazione in rapida crescita; f) infine, migliora la salute e la speranza di vita della gente.
Sfortunatamente queste affermazioni sono rimaste dei miti di quelle aziende private che cercano il massimo dei profitti a spese dei piccoli contadini poveri. Se gli Ogm risolvessero il problema della fame non ci sarebbero 350 milioni di indiani che ogni sera vanno a letto a stomaco vuoto. E questo nonostante 53 milioni di tonnellate di frumento in eccedenza prodotte lo scorso anno. Il ministro dell’Agricoltura, Sharad Pawar, di recente ha affermato davanti al parlamento che un quinto delle scorte alimentari ogni anno viene gettato via. Perciò il problema è di conservazione e distribuzione, non di carenza di sementi. È un mito anche la riduzione dei costi di produzione, se si considera che oggi gli agricoltori dicono di spendere di più, oltre ad avere perso i terreni che li hanno sostenuti per secoli.
Il governo indiano ha subito una pressione enorme da parte dell’industria biotecnologica per consentire le sperimentazioni GM su per mais, senape, canna da zucchero, riso, sorgo, pomodori, patate, banane, papaya, cavolfiori, olio di semi, melanzana, ricino, soia e molte piante medicinali indigene. Sono in corso anche esperimenti sul pesce.
Cosiddetti scienziati privi di scrupoli etici cercano di inserire artificialmente gene Bt in qualsiasi raccolto passi per le loro mani senza sapere se è desiderabile o meno per l’India. Potenti multinazionali hanno immesso risorse finanziarie enormi per mobilitare scienziati e media e ottenere sostegni politici. Alcuni dei principali media sono diventati marionette nelle loro mani per creare miti e raccontare menzogne lampanti. Un esempio: il Times of India ha pubblicato per due volte in tre anni un articolo di una pagina intera sostenendo che non c’era stato alcun suicidio in due villaggi del Maharashtra, anche se i contadini confermavano che in quattordici si erano tolti la vita dopo l’avvio della coltivazione del cotone Gm prodotto dalla Mahyco-Monsanto Biotech. L’articolo era comparso come una pagina pubblicitaria per cinque giorni di fila, in contemporanea con l’arrivo in parlamento nell’agosto 2011 della proposta di legge sull’Autorità federale di regolamentazione delle biotecnologie.
Molti esperimenti mostrano chiaramente che tali raccolti Gm non rispondono alle esigenze dell’India. Il Paese sta procedendo verso un’era imprevedibile di inquinamento biologico. Se l’India avesse prestato attenzione ai sistemi agricoli sostenibili delle popolazioni indigene già esistenti e fornito infrastrutture per l’irrigazione dove mancavano, avrebbe creato un modello eccezionale di agricoltura, senza suicidi, inquinamento della terra e dell’acqua.
Gli Ogm continuano a minacciare le risorse genetiche locali e le conoscenze tradizionali della gente. L’India ha perso il controllo su molte piante, animali e risorse genetiche microbiche. Una banca dati biologica di 150mila piante raccolta in India si trova nel dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti e l’India non ha controllo su tali risorse.
LA PROTESTA
DELLA SOCIETÀ CIVILE
Dal 2002 i contadini indiani hanno sperimentato la coltivazione del cotone Bt e si sono trovati di fronte a una realtà amara fatta di malattie, pesticidi e lutti nelle famiglie, ma anche al sostegno di poche organizzazioni per i diritti umani e Ong che hanno formato nel 2006 una rete informale chiamata «Coalition for Gm Free India», che rappresenta coltivatori, sindacati e organizzazioni di una quindicina di Stati indiani. Combattono per preservare la ricca biodiversità e la conoscenze agricole tradizionali, nonostante l’incombente «tsunami» delle imprese che cercano di privarli in nome dei brevetti e dei diritti sulla proprietà intellettuale. La loro battaglia contro le ricche industrie farmaceutiche e agro-biotecnologie, politici e media si è fatta sempre più decisa.
Dopo una serie di proteste in vari Stati, il governo federale è stato costretto a rivedere la propria strategia rispetto alle coltivazioni Gm fino a fare marcia indieto nel febbraio 2010 rispetto all’approvazione data l’anno prima alla produzione di brinjal (melanzana) Bt. Quando i promotori delle coltivazioni Gm hanno fatto ricorso presso la Corte suprema, questa ha istituito un comitato tecnico di esperti che ha raccomandato una moratoria di dieci anni sulle sperimentazioni sul terreno delle piante transgeniche per tutti i prodotti destinati al consumo alimentare finché non verranno delimitati e certificati specifici siti per condurre le prove con meccanismi adeguati di monitoraggio.
I GESUITI COINVOLTI
Per la Chiesa è una sfida cruciale formare i contadini ad apprezzare la ricchezza del proprio patrimonio e non essere abbindolati dalle false promesse delle aziende. Molti gruppi ecclesiali e i centri sociali dei gesuiti hanno lavorato nei villaggi più remoti tra i coltivatori, i dalit e gli indigeni, per promuovere e preservare la ricca biodiversità della terra e proteggere i loro diritti su terra, acqua, foreste e risorse minerarie.
Uno dei settori in cui i gesuiti sono in prima linea è quello della distribuzione e raccolta delle acque, nonché della riforestazione. In alcuni Stati i contadini sono stati sistematicamente istruiti sulla vermicoltura e il compostaggio, metodi per preservare la loro varietà tradizionale di semi e metodi per usare pesticidi organici e naturali. L’Istituto di ricerca entomologica del Loyola College di Chennai ha elaborato un biopesticida chiamato Ponneem, più economico e semplice nel controllo dei parassiti.
In alcune scuole dei gesuiti gli studenti ricevono una formazione in questi settori: si coltivano giardini di erbe medicinali, si formano gruppi ambientalisti, si svolgono programmi di riforestazione. Alcuni gesuiti sono poi stati direttamente coinvolti nei più ampi movimenti popolari contro gli Ogm con azioni di advocacy in favore dei contadini.
L’India, che negli ultimi trent’anni stava rapidamente diventando la discarica degli Ogm, si è finalmente svegliata e ha posto una moratoria di dieci anni sugli esperimenti. L’auspicio è che i politici e gli studiosi non saranno intimiditi dai settori aziendali corrotti riaprendo la questione. Al contempo la società civile e i movimenti non devono esultare per i piccoli successi ottenuti ma restare in guardia per proteggere sempre le generazioni future e l’ambiente.
Xavier Jeyaraj SJ
Vicedirettore del Segretariato
per la Giustizia sociale e l’Ecologia della Compagnia di Gesù
(nella foto: New Delhi, maggio 2008: proteste contro le melanzane geneticamente modificate)