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L'ecumenismo visto da Mosca: intervista a Hilarion Alfeyev
8/10/2014

Se già Benedetto XVI aveva fatto passi significativi nel dialogo con il mondo cristiano ortodosso, l’avvento al soglio pontificio di Francesco sembra avere aperto ulteriori prospettive. Come dimostra, fra l’altro, il triplo incontro in pochi mesi tra il «vescovo di Roma» (definizione usata da Bergoglio la sera stessa dell’elezione, densa anche di risvolti ecumenici) e il Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeos (in occasione della messa inaugurale del pontificato, a Gerusalemme in maggio e ancora Roma per la preghiera interreligiosa per la pace in Terrasanta).

Per questi motivi assume un particolare significato la lunga intervista che il Metropolita Hilarion di Volokolamsk, dal 2009 Presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca e stretto collaboratore del Patriarca Kirill, ha concesso a Popoli. L’intervista è stata realizzata nel mese di agosto.

Sua Eminenza, ci può spiegare, anzitutto, di cosa si occupa l’ufficio che presiede?
Il nostro Dipartimento è la più importante struttura sinodale della Chiesa russa. È stato istituito nel 1946, quando la nostra Chiesa aveva urgente bisogno di stabilire e sviluppare rapporti con il mondo esterno, tra l’altro anche per contenere in qualche modo la forte pressione da parte delle autorità statali sovietiche. Dal 1989, e fino alla sua elezione a Patriarca di Mosca e tutta la Rus’ nel 2009, presidente del Dipartimento è stato l’attuale Patriarca Kirill.

Proprio nel periodo in cui lui dirigeva il Dipartimento, nei Paesi dell’allora Unione Sovietica, che per la maggior parte rientrano nel territorio canonico della Chiesa ortodossa russa, sono avvenuti importanti cambiamenti politici e sociali. In quell’epoca, il nostro Dipartimento ha svolto un ruolo fondamentale per la rinascita della vita ecclesiale, lo stabilimento di nuove relazioni tra la Chiesa e lo Stato, basate su un rapporto paritario. Possiamo dire che in quegli anni la nostra Chiesa ha conquistato un’autonomia e un’indipendenza tali che non hanno paragone nella storia.

Quanta parte hanno, nel suo lavoro, le relazioni con le Chiese non ortodosse?
Oggi il Dipartimento si occupa, per conto del Patriarca e del Sacro Sinodo, di tutte le relazioni che la Chiesa ortodossa russa intrattiene con le altre Chiese ortodosse, con le Chiese cristiane non ortodosse, con i rappresentanti delle altre religioni e anche con le strutture statali e istituzioni laiche fuori dal territorio canonico del Patriarcato di Mosca.

Le relazioni intercristiane costituiscono una delle sfere prioritarie del lavoro del Dipartimento. Grande importanza è attribuita allo sviluppo dei rapporti del Patriarcato di Mosca con la Chiesa cattolica, con la quale portiamo avanti il dialogo teologico in maniera sistematica. Intratteniamo relazioni anche con la Comunione anglicana e i metodisti, con le Chiese precalcedonesi (ad esempio i copti, ndr) e quelle della Riforma, con il Consiglio ecumenico delle Chiese e altre organizzazioni ecumeniche.

Come valuta gli attuali rapporti tra cattolici e ortodossi? Quali sono le dimensioni più promettenti del dialogo bilaterale? E quali gli ostacoli ancora presenti?
Negli ultimi anni i rapporti con la Chiesa cattolica sono sostanzialmente migliorati. Le relazioni che intratteniamo con il Vaticano, con le conferenze episcopali di vari Paesi, con organizzazioni e comunità cattoliche, monasteri, istituti teologici, non fanno che aumentare. Si è ormai stabilito uno scambio regolare di studenti e docenti, si realizzano progetti comuni, conferenze, pubblicazioni, cooperazione sul piano culturale.

Il dialogo propriamente teologico tra ortodossi e cattolici è portato avanti sia a livello panortodosso (nel quadro della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa romano-cattolica e la Chiesa ortodossa), sia a livello bilaterale (ad esempio, tra la Chiesa russa e la Conferenza episcopale tedesca). Il dialogo teologico è in corso già da trent’anni e oggi sono evidenti sia i suoi traguardi, sia il permanere di alcune difficoltà. La questione principale (ma non l’unica) che divide cattolici e ortodossi rimane ancora il tema del primato nella Chiesa universale, e proprio questa questione costituisce l’oggetto principale in discussione nel quadro della Commissione mista appena citata.

Dopo un’interruzione abbastanza lunga, nel 2006 abbiamo potuto riprendere gli incontri della Commissione, prendendo in esame la questione del ruolo del vescovo di Roma nella comunione ecclesiale del primo millennio. Dalla discussione è emerso che le due parti, cattolica e ortodossa, interpretano in maniera differente gli stessi avvenimenti storici. La rottura di quasi un millennio tra Oriente e Occidente ha generato diversi approcci alla questione del primato nella Chiesa universale.

Nella sessione plenaria della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa romano-cattolica, svoltasi a Vienna nel 2010, su proposta dei membri ortodossi è stato deciso di lasciare momentaneamente da parte l’esame del ruolo del vescovo di Roma e concentrarsi sullo studio del problema più vasto del rapporto tra sinodalità e primato nella Chiesa.

In questa tappa sono sorte divergenze tra i membri ortodossi della Commissione, relative al ruolo del primo vescovo della Chiesa universale. Queste diverse opinioni riguardano differenti approcci di principio al concetto del primato ai livelli locale, regionale e universale. Questa difficoltà già da tre anni non rende possibile lo svolgimento della sessione plenaria della Commissione mista. Alla fine dell’anno scorso, il Sacro Sinodo della Chiesa russa ha prodotto il documento La posizione del Patriarcato di Mosca sulla questione del primato nella Chiesa universale, sul quale si baseranno i nostri rappresentanti nel dialogo teologico ortodosso-cattolico.

Il compito che si pone tale dialogo non è semplice, ma non direi che sia irrealizzabile. I progressi già avvenuti nei rapporti tra ortodossi e cattolici ci mostrano che la strada del dialogo è ricca di prospettive. Essa permette di discutere le differenze esistenti, i problemi e le difficoltà, e di giungere a decisioni e formulazioni che siano accettabili per entrambi. Questo, naturalmente, non significa che a livello pratico si possano risolvere subito tutti i problemi; ma possiamo almeno indicare la via della loro risoluzione e imprimere ai nostri rapporti una spinta positiva.

Nello stesso tempo, oggi diventa sempre più evidente che, nonostante le discordanze dal punto di vista della dottrina, ortodossi e cattolici in molte cose possono e devono agire insieme. Le nostre posizioni riguardo alle questioni etiche (famiglia, maternità, interruzione volontaria di gravidanza, eutanasia e molti altri temi) in sostanza coincidono, perché si basano sul fondamento solido della morale evangelica. Questo ci permette fin da ora di dare la nostra testimonianza comune di Cristo al mondo secolarizzato, difendendo le norme della tradizione morale cristiana.

Le relazioni tra il Patriarcato di Mosca e il Vaticano hanno visto alti e bassi negli ultimi venti anni. Qual è il punto della situazione? Potrebbe essere vicino il momento di un incontro tra il Patriarca Kirill e Papa Francesco?
All’inizio degli anni Novanta i rapporti tra la Chiesa russa e la Chiesa cattolica hanno attraversato una seria crisi. La Santa Sede ha riorganizzato le sue strutture ecclesiali in Russia e negli altri Paesi dell’ex Urss, a volte senza tenere in conto l’opinione della Chiesa ortodossa. Nello stesso tempo, in Ucraina i greco-cattolici si riprendevano le chiese con la forza, perseguitando i sacerdoti ortodossi e lasciando in alcune diocesi i fedeli ortodossi senza alcun luogo di culto.

Fino a poco tempo fa ci sembrava che, per grazia di Dio, queste difficoltà fossero in gran parte superate. Durante il pontificato di Benedetto XVI i rapporti sono diventati sempre più fraterni e questa tendenza continua ancora oggi con Francesco.

Tuttavia, gli ultimi avvenimenti in Ucraina sembrano far ritornare l’atmosfera degli anni Novanta, che speravamo fosse un ricordo del passato: quando, cioè, le azioni aggressive da parte dei greco-cattolici sono state un vero ostacolo per uno sviluppo armonioso dei rapporti tra la Chiesa russa e quella cattolica.

La partecipazione diretta degli uniati allo scontro civile, i loro tentativi di dividere il popolo ucraino secondo l’appartenenza non solo politica, ma anche confessionale, il loro sforzo di seminare discordia tra i fedeli della Chiesa ortodossa ucraina, i loro frequenti contatti con i gruppi scismatici e una lunga serie di provocazioni nei confronti del Patriarcato di Mosca hanno recato un gravissimo danno non soltanto all’Ucraina e al suo popolo, ma anche al dialogo ortodosso-cattolico.

Ha occasioni di confronto e incontro con le realtà cattoliche in Russia?
Sì, sia con la Nunziatura apostolica, che con l’arcivescovo presente a Mosca. I nostri incontri ufficiali di lavoro sono molto frequenti, spesso partecipiamo insieme a diverse iniziative. Il livello di fiducia reciproca che si è raggiunto tra il Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato e i rappresentanti della Santa Sede a Mosca è assai alto, il che ha spesso permesso di risolvere svariate questioni.

In particolare voglio sottolineare la nostra collaborazione nel quadro del dialogo intercristiano e interreligioso in Russia e nel territorio dell’ex Unione Sovietica. I rappresentanti della Chiesa cattolica partecipano attivamente al Consiglio interreligioso della Russia e a quello dei Paesi della Csi (Comunità degli Stati indipendenti, confederazione attualmente composta da 10 delle 15 repubbliche dell’ex Unione Sovietica, ndr). L’arcivescovo Paolo Pezzi, capo della diocesi cattolica di Mosca, dedicata alla Madre di Dio, è copresidente del Comitato consultivo interconfessionale cristiano della Csi e dei Paesi baltici, uno dei forum intercristiani più significativi dell’Eurasia. Nel febbraio scorso, durante l’assemblea plenaria di questo Comitato, abbiamo discusso il tema attuale per i nostri Paesi della crisi della famiglia e dei problemi dell’infanzia abbandonata. In quest’occasione abbiamo visto che le nostre posizioni sulle questioni di base della morale cristiana coincidono perfettamente, cosa di cui ci siamo convinti anche in diverse altre occasioni.

Com’è l’Europa vista da Mosca? Che opinione si è fatto del processo di integrazione?
A proposito della percezione dell’Europa che hanno molti cittadini russi, è necessario prima di tutto sottolineare la stretta collaborazione che nei secoli si è stabilita tra Stati europei e Russia, che è anch’essa parte dell’Europa. Le intense relazioni diplomatiche, militari, commerciali ed economiche tra Europa e Russia sono sempre state accompagnate da contatti culturali e scientifici.

La base essenziale del processo di formazione dei valori tradizionali europei è stato il cristianesimo. I comandamenti di Dio e l’annuncio evangelico dell’amore per il prossimo, della misericordia, della penitenza, per due millenni hanno costituito la bussola morale nel mare della vita per decine di generazioni di europei. La fede cristiana ha determinato in maniera sostanziale la coscienza pubblica ed è stata il fondamento di quella grande cultura che ha trasformato l’Europa dal territorio di abitazione di tribù barbare diverse nello spazio di una grande civiltà mondiale.

Oggi, purtroppo, nel continente europeo è in corso uno smantellamento, voluto e organizzato, del sistema di valori attorno a cui per secoli si è costruita la vita degli europei, e questo fatto infonde seri timori per il futuro dell’Europa.

I vari processi di integrazione e costruzione di una società multiculturale non dovrebbero escludere il diritto delle persone a conservare le proprie tradizioni. Se la vita politica e sociale in Europa si costruirà in modo da permettere alla maggior parte dei suoi abitanti di non dover scendere a compromessi con la propria fede e coscienza cristiana a causa del rispetto delle nuove leggi, allora lo sviluppo e la prosperità del nostro continente avranno ancora prospettive. In caso contrario, l’Europa è destinata a una profonda crisi.

In che modo la Chiesa ortodossa valuta le trasformazioni della società russa di oggi? Come giudica, in particolare, le crescenti disuguaglianze che toccano le società moderne, compresa quella russa?
Il tempo che stiamo vivendo è un’epoca di sfide molto serie per la società russa. Siamo di fronte a problemi che sono tipici del mondo moderno: la crisi del matrimonio e della famiglia, la disuguaglianza sociale, la perdita degli orientamenti morali, l’imposizione dell’ideologia del consumo e del profitto attraverso i mass media. Per la Russia ci sono anche i problemi tradizionalmente acuti dell’alcolismo e della tossicodipendenza.

Penso che i problemi sociali non possano essere risolti senza la partecipazione attiva delle persone stesse, senza il rafforzamento del ruolo delle istituzioni della società civile. Tuttavia, le riforme volte a migliorare il livello e la qualità della vita non potranno raggiungere il loro scopo, pur buono, se non saranno basate su una solida base spirituale e morale.

Dal punto di vista cristiano, il benessere dell’uomo, la sua felicità e libertà interiore sono inseparabili dalla presenza nel suo animo del senso di responsabilità morale nei confronti della società. Ciò è particolarmente vero per i cristiani.

Per quanto riguarda il problema della disuguaglianza sociale, dobbiamo constatare che il culto del consumo oggi mette in ombra la capacità della gente alla compassione, al sacrificio, alla carità. Si potrà uscire dalla crisi solo se aumenterà la responsabilità dei ricchi verso i meno abbienti, se crescerà la consapevolezza dello stretto legame tra diritti e doveri, tra libertà e responsabilità.

Quelle in Ucraina e in Siria, pur tra loro molto diverse, rappresentano crisi geopolitiche molto serie. Quale ruolo pacificatore possono svolgere le Chiese cristiane?
Purtroppo nel XXI secolo, nonostante i progressi tecnologici, la situazione nel mondo non è diventata più serena o tranquilla. Con rinnovato vigore si ripetono lotte politiche, scoppiano guerre e conflitti civili. Una vera tragedia sono le persecuzioni sistematiche dei cristiani in diverse parti del mondo. Spesso la causa di nuove sciagure è l’affanno dei potenti di proteggere a tutti i costi i propri interessi, il proprio benessere finanziario, anche a costo di enormi sacrifici umani.

Per raggiungere questo obiettivo si semina discordia anche tra popoli che per secoli hanno vissuto insieme in armonia, si esasperano quei contrasti sociali, etnici o culturali, che esistono in ogni società e ne costituiscono la ricchezza e multiformità. Di conseguenza si infrange il fragile equilibrio multiculturale che era stato formato lentamente da molte generazioni, si fanno tremare le fondamenta di civiltà millenarie, e ciò causa fiumi di sangue e un enorme numero di vittime, cosa a cui assistiamo in Siria, Iraq, Egitto, Libia e oggi anche in Ucraina.
Essere operatori di pace è un dovere per la Chiesa, una parte della missione salvifica che Dio le ha affidato. Spesso la Chiesa nella storia ha compiuto questo ruolo utilizzando gli unici strumenti a sua disposizione, cioè pregando e levando la sua voce di fronte ai potenti per intercedere per quanti subiscono violenza, necessitano di protezione, o la cui vita è in pericolo.

Ma questa missione è possibile solo se la Chiesa non si identifica con nessuna forza politica. Infatti i fedeli, i membri della Chiesa, si possono trovare su entrambi i fronti del conflitto civile.

Secondo il Patriarca di Mosca e tutta la Rus’ Kirill, «la Chiesa deve mantenere la propria potenzialità di operare per la pace, anche quando tutto sembrerebbe indicare che non esista alcuna possibilità di mantenimento della pace». Tale posizione della Chiesa non significa solo una scelta di non ingerenza nella politica; si tratta di una posizione basata sul fatto che nella Chiesa ci deve essere spazio per persone di diverse convinzioni politiche. La Chiesa può aiutare a realizzare un dialogo pacifico tra fazioni opposte, perché solo attraverso il dialogo e il rispetto reciproco si può raggiungere l’accordo, la giustizia e la pace civile, che sono indispensabili a ogni Stato.

All’indomani dell’incontro di Costantinopoli tra i leader delle Chiese ortodosse in marzo, il Patriarca Kirill ha definito il Concilio pan-ortodosso in programma per il 2016 un evento di portata storica. Quali sono le sue attese?
Il Concilio pan-ortodosso deve davvero essere un evento molto significativo per tutto il mondo ortodosso. La sua importanza risiede nel fatto che la Chiesa ortodossa, che conta già duemila anni di vita, e che è passata per il crogiolo di tremende prove, oggi può apertamente testimoniare la propria esistenza, testimoniare al mondo che, nel totale relativismo di oggi, essa è custode della tradizione apostolica e che, a questo proposito, è consapevole della necessità di un dialogo con le altre confessioni ed è pronta a parteciparvi, partendo da una posizione unitaria.

Mi auguro che, oltre alle domande che sono state già a lungo discusse nel quadro del processo organizzativo del Concilio, esso si pronunci anche su una serie di argomenti di attualità, tra cui un posto speciale ha il tema della persecuzione dei cristiani in diverse parti del mondo.

L’ultima domanda è più personale: Lei è molto conosciuto anche come compositore di musica classica e liturgica. In che modo vive la musica sacra come elemento di unità dei cristiani?
Si sa che la musica può superare le frontiere, sia linguistiche sia culturali. La musica nelle sue più alte espressioni, compresa la musica sacra, esiste al di fuori delle frontiere confessionali, è universale e appartiene a tutta l’umanità.

Un perfetto esempio di musica di alto livello messa a servizio dell’umanità, ci è dato dall’opera di Johann Sebastian Bach. Bach rimase per tutta la vita luterano e compose musica sacra destinata a lodare Dio, cioè concretamente all’uso liturgico nelle chiese luterane. Ma con il tempo, la musica di Bach cominciò a essere eseguita nelle sale da concerto, diventando accessibile a tutta l’umanità. Ancora oggi, la sua musica rimane comprensibile e moderna. Bach, con la sua imponenza e sofferenza, è particolarmente vicino ai nostri contemporanei che hanno conosciuto l’orrore e gli sconvolgimenti del XX secolo, che sono frustrati per aver sperimentato l’impossibilità di trasformare il mondo con l’aiuto di teorie puramente umanistiche senza Dio.

Per quanto riguarda la musica sacra in generale, essa è un fattore di riavvicinamento per cristiani di varie denominazioni, in quanto è un riflesso diretto delle diverse esperienze spirituali e tradizioni, il cui centro, nonostante la loro grande varietà, è il Cristo.

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