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Le dimissioni di Rowan Williams
27 aprile 2012
Il 16 marzo Rowan Williams ha annunciato che, il 31 dicembre, lascerà la carica di arcivescovo di Canterbury e Primate della Comunione anglicana e assumerà, a partire dall’indomani, la direzione di un importante college universitario a Cambridge. Entro la fine dell’anno, le procedure previste porteranno alla nomina del suo successore: un’apposita commissione - composta da vescovi, preti e laici della diocesi di Canterbury e della Chiesa d’Inghilterra, oltre che da un Primate della Comunione anglicana e da un presidente laico nominato dal primo ministro britannico - indicherà al capo del governo il vescovo prescelto, oltre a un secondo nominativo di riserva; spetterà poi al primo ministro comunicare alla regina il risultato della nomina e la sovrana annuncerà formalmente l’arcivescovo così designato.

Williams avrebbe teoricamente potuto restare in carica fino al 2020, al compimento cioè dei settant’anni, anche se i suoi più recenti predecessori, eletti in età più avanzata della sua, hanno esercitato il loro ministero di Primati per 10-12 anni, lo stesso periodo di tempo che ha visto Williams, eletto nel 2002, sedere sulla cattedra di Canterbury. Quindi, da un lato le sue si possono considerare dimissioni anticipate, dall’altro rientrano in un normale avvicendamento in una carica sempre più gravosa.
Il motivo principale della rinuncia, fornito dall’arcivescovo stesso, è stato quello di consentire al nuovo Primate di conoscere approfonditamente l’insieme della Comunione anglicana - diffusa nei cinque continenti - prima della convocazione della decennale Conferenza di Lambeth nel 2018, dove si ritroveranno tutti i vescovi dell’anglicanesimo per alcune settimane di riflessioni e di confronto sulle tematiche più urgenti riguardanti il loro ministero pastorale. Secondo le parole di Williams, una serie di argomenti cruciali sono giunti ormai a uno «spartiacque» - dall’apertura alla consacrazione episcopale delle donne nella Chiesa d’Inghilterra alla ricezione di un nuovo «Patto» di intenti tra le diverse Province della Comunione anglicana - ed è quindi opportuno che un altro arcivescovo affronti la nuova stagione che si apre per l’anglicanesimo.

Compito esaurito, quindi, e via libera a forze nuove, dotate di nuovo slancio? Oppure anche stanchezza di fronte al sempre più arduo compito di tenere insieme tendenze così diversificate all’interno della Comunione anglicana? O ancora, desiderio di ritornare agli studi teologici e alla riflessione dopo un decennio passato in prima linea? Forse c’è un po’ di tutto questo, ma per capire in profondità le ragioni spirituali di una scelta così ponderata bisogna cercare di leggere e interpretare gli eventi non alla luce di battaglie ideologiche o di schieramenti di forze, non con calcoli eminentemente «politici» bensì, in modo molto più aderente alla personalità in questione, in un’ottica di sollecitudine ecclesiale e di ricerca della volontà di Dio all’interno di una determinata situazione.
Rowan Williams era noto - prima come brillante patrologo e teologo, poi come vescovo in Galles - per le sue posizioni molto aperte su tutte le tematiche più scottanti: dai problemi sociali e quelli attinenti l’etica nel campo del «genere» e della sessualità. Divenuto arcivescovo di Canterbury, e quindi primo responsabile della comunione all’interno di una multiforme realtà ecclesiale, ha lasciato in secondo piano le sue preferenze teologiche e le relative opzioni pastorali per farsi carico dell’ascolto e della comprensione di tutte le posizioni e per lavorare al dialogo e alla compaginazione in unità dell’intera Comunione anglicana. Non si dimentichi che il primato dell’arcivescovo di Canterbury sulle diverse Chiese anglicane è poco più che onorifico: nessuna potestà giurisdizionale, ma un’autorità legata quasi esclusivamente all’autorevolezza della persona, della sua predicazione e del suo agire.

La scelta di Rowan Williams di ricondurre costantemente il dibattito alle sue radici evangeliche, al suo inserimento nella tradizione e al suo articolarsi con la ragione - rinunciando anche a posizioni ritenute giuste ma non imponibili d’autorità a quanti non le condividevano - ha scontentato molti, soprattutto tra chi affronta i problemi sempre in termini di schieramenti, di compromessi, di vincitori e vinti: l’ala liberal gli rimproverava di aver tradito le sue posizioni precedenti, mentre i settori più tradizionali non riuscivano a scindere il pensiero del teologo dall’azione del pastore.

Difficilmente un altro vescovo avrebbe saputo guidare la Comunione anglicana con altrettanta saldezza e discernimento in questo decennio così tribolato, riuscendo a evitare spaccature clamorose, ma forse Williams si è reso conto che tutto quello che poteva fare l’aveva ormai fatto e che proseguire oltre non avrebbe giovato alla Chiesa. La bussola che ha guidato l’arcivescovo di Canterbury è sempre stata, infatti, il bene della Chiesa e le sorti del Vangelo nel mondo di oggi, non il prevalere di una posizione a scapito dell’altra. Esponenti di schieramenti contrapposti sembrano invece pensare che basta prevalere numericamente su chi ha opzioni diverse per risolvere i problemi, mentre questi restano e anzi si aggravano proprio per la modalità conflittuale con la quale vengono affrontati.

Ultimamente due grossi sforzi intrapresi per garantire la comunione non hanno incontrato la risposta che l’arcivescovo poteva attendersi: una sua mozione - presentata al sinodo della Chiesa d’Inghilterra assieme all’arcivescovo di York, tesa a provvedere strutturalmente alla cura pastorale di quei fedeli che in coscienza non potranno accettare di essere guidati da un vescovo donna - è stata rigettata, così come proprio la Chiesa d’Inghilterra si avvia a respingere quel «patto» di rinnovata comunione, in discussione da anni e accettato soprattutto dalle Chiese anglicane più piccole e povere: un «patto» di reciproca fiducia, di consenso teologico su elementi fondamentali e di mutuo sostegno fortemente voluto da Williams.
Purtroppo va anche riconosciuto che la Chiesa cattolica non sempre è riuscita a essere di aiuto all’arcivescovo di Canterbury nel suo ministero di comunione: l’istituzione di Ordinariati cattolici per singoli e comunità fuoriuscite dall’anglicanesimo, per esempio, ha certo motivazioni pastorali interne alla Chiesa cattolica, ma indubbiamente ha acuito posizioni di contrapposizione in seno alla Comunione anglicana. Il dialogo teologico è sì ufficialmente ripreso, ma molto dello slancio ecumenico che lo animava una trentina d’anni fa si è smarrito e pare difficile da recuperare.

È probabile che sul piano ecumenico le altre Chiese, a cominciare proprio da quella cattolica, avvertiranno fortemente l’assenza di un interlocutore come Rowan Williams: profondamente radicato nella Scrittura e nella tradizione, grande conoscitore ed estimatore dell’ortodossia come dell’universo cattolico, sensibile alle istanze evangelicali e carismatiche, l’arcivescovo di Canterbury è un fautore del dialogo nella verità e nella carità, un cristiano sinceramente convinto che la volontà del Signore affinché i suoi discepoli siano «una cosa sola» resta un’esigenza ineludibile per tutte le Chiese. L’augurio per la Comunione anglicana e per la Chiesa di Dio diffusa su tutta la terra è che la sollecitudine per il Vangelo e per l’unità che ha animato il ministero di Rowan Williams trovi nuovi interpreti, capaci di rispondere alle sfide che giungono dalla società contemporanea.
Guido Dotti

Nella foto, lo stemma dell'arcivescovo di Canterbury.



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