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Libia, cosa dice il diritto internazionale
23 marzo 2011
L’intervento militare delle forze armate europee e statunitensi in Libia ha sollevato una serie di quesiti legati alla legittimità dell’intervento stesso alla luce del diritto internazionale. Popoli.info ha interpellato Andrea Santini, professore di Diritto internazionale della facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica di Milano.

Prof. Santini, quando il diritto internazionale ritiene lecito un intervento militare esterno per risolvere guerre civili in Paesi sovrani?
La Carta delle Nazioni Unite vieta, in linea di principio, il ricorso alla forza. Lo consente solo in due casi: 1) la legittima difesa, cioè quando un Paese è oggetto di un attacco armato; 2) quando c’è una delibera in questo senso da parte del Consiglio di sicurezza. Il Consiglio di sicurezza, ai sensi dell’art. 7 della Carta delle Nazioni Unite, può permettere l’uso della forza quando ritenga vi sia un atto di aggressione, una violazione della pace o una minaccia della pace. Esiste una prassi del Consiglio di sicurezza, consolidatasi dal 1990 in avanti, che ritiene che la pace sia «minacciata» in presenza di guerre civili, gravi violazioni dei diritti umani, genocidi, ecc. Non è quindi una sorpresa che il Consiglio di sicurezza intervenga o possa intervenire in situazioni anche meramente interne di uno Stato quando sia minacciata la pace.
Di fronte a queste minacce, il Consiglio può limitarsi ad adottare misure o sanzioni che non implicano l’uso della forza. Nel caso libico il Consiglio di sicurezza il 26 febbraio ha approvato la risoluzione n. 1970 che prevedeva una serie di sanzioni tra le quali il congelamento dei beni di Gheddafi e dei suoi familiari e sanzioni verso il regime di Tripoli. Il Consiglio di sicurezza può anche autorizzare l’uso della forza ed è ciò che ha fatto con la risoluzione n. 1973 del 17 marzo. Il Consiglio di sicurezza ha chiarito che la situazione in Libia costituisce una minaccia alla pace, che sono in atto gravi violazioni dei diritti umani e che conseguentemente si ritiene titolato a esercitare i diritti che gli competono in base all’art. 7. La risoluzione è quindi legittima dal punto di vista del diritto internazionale, ma non è una delega in bianco perché autorizza gli Stati a utilizzare «tutti i mezzi necessari» (quindi anche la forza) per finalità ben precise. E cioè: la protezione dei civili e delle aree popolate sotto minaccia di attacco (par. 4); garantire il rispetto della no fly zone (istituita per protezione dei civili) (par. 8); la possibilità di porre in essere ispezioni per garantire il rispetto dell’embargo delle armi (par. 13).

Quali differenze ci sono tra la no fly zone istituita nella Federazione Jugoslava nel 1999 e quella attuale istituita in Libia?
In entrambi i casi c’è e c’era la volontà di proteggere le popolazioni civili da gravi violazioni dei diritti umani. Nel 1999 furono compiute operazioni militari (e non solo una no fly zone) per proteggere i kosovari. Oggi per proteggere i libici. Allora però non ci fu una risoluzione Onu, perché il Consiglio di sicurezza fu bloccato dal veto cinese e russo. Le operazioni militari della Nato si svolsero al di fuori della copertura del Consiglio di sicurezza. La dottrina le ha quindi considerate illegittime perché le considerava un intervento che usciva dalle fattispecie previste dalla Carta delle Nazioni Unite.
Nella crisi libica il fatto che, pur con alcune astensioni e alcuni distinguo, sia stata approvata una risoluzione ha semplificato le cose perché, nell’ambito dei limiti imposti dal Consiglio di sicurezza, l’intervento è legittimo. Tra questi limiti c’è il divieto di un’occupazione militare in qualsiasi forma del territorio libico.

In questi giorni sono scoppiate polemiche fra Stati europei su chi debba guidare la coalizione che sta operando in Libia. Che cosa prevede la risoluzione?
I paragrafi della risoluzione che autorizzano l’uso della forza affermano che gli Stati possono «prendere tutte le misure necessarie» singolarmente o attraverso il ricorso a organizzazioni internazionali. Il Consiglio di sicurezza quindi non si è soffermato su quale ruolo debbano avere i singoli Stati e le organizzazioni come la Nato.

Per un’eventuale operazione militare terrestre sarebbe necessaria una nuova risoluzione?
Sì, per un’operazione terrestre è necessaria un’altra risoluzione. Il par. 28 della risoluzione aggiunge che il Consiglio di sicurezza continuerà a seguire la crisi e si riserva la possibilità di togliere, sospendere o eliminare l’autorizzazione all’uso della forza ma, se del caso, anche di rafforzare le misure già decise. Quindi non si esclude a priori la possibilità di consentire l’uso della forza per altre finalità però non si può arrivare a ciò senza una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza.

Il Trattato di amicizia italo-libico siglato da Roma e Tripoli nel 2008 vietava l’uso di basi italiane per raid sulla Libia. La risoluzione n. 1973 annulla questo divieto? E, soprattutto, il Trattato è ancora in vigore?
La risoluzione prevale su eventuali trattati in forza dell’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite. L’Italia quindi non viola il Trattato del 2008. Per altro, in caso di guerra, i trattati vengono solitamente sospesi, se non estinti. Il Trattato quindi va considerato sospeso. Non so se tornerà in vigore con la conclusione del conflitto. Molto dipenderà da chi allora governerà il Paese nordafricano e dalla sua volontà di mantenere in vita l’intesa.
Enrico Casale

© FCSF – Popoli