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Martino Martini, il mandarino di Dio
11/09/2014
A quattrocento anni dalla nascita (20 settembre 1614), Martino Martini, gesuita e uomo di scienze nella Cina dei Ming al tramonto, resta un riferimento per il suo stile missionario e per l’apertura culturale che fecero scoprire l’Impero di mezzo agli europei. A Milano alcune iniziative ne ricorderanno la figura.


Trento è una città che ha legato la sua storia a quella della Chiesa non solo per il Concilio del 1545-1564, ma anche per diverse figure religiose alle quali ha dato i natali. Una di esse è il gesuita Martino Martini, che il 20 settembre 1614 nasce da una facoltosa famiglia della città. Per noi occidentali sarebbe impossibile pensare la Cina senza il suo contributo. Se Matteo Ricci, infatti, fu il primo a far conoscere la cultura e le tradizioni occidentali ai cinesi, Martino Martini è unanimemente considerato colui che per primo fece conoscere la Cina agli europei. A questo suo illustre figlio, da molti anni Trento dedica risorse e attenzioni, coordinate principalmente dal Centro studi a lui intitolato (Csmm, centrostudimartini.it). Il quarto centenario della sua nascita è, quindi, un’occasione per onorarne l’opera.

Giuseppe O. Longo, nella sua biografia su Martino Martini (Il gesuita che disegnò la Cina, Springer 2010), fa notare come quest’uomo di forte carattere e vasta dottrina, «sebbene abbia vissuto solo 47 anni, ci ha lasciato una produzione in campo storico, geografico, linguistico, filosofico e religioso davvero eccezionale, soprattutto se si tiene conto che 24 anni li spese tra l’infanzia e gli studi e 12 li passò sui mari, al confino, sequestrato dai pirati e in vari viaggi. Ne restano dunque solo una decina che passò in terra cinese, dedicandosi allo studio della lingua e della cultura, all’opera di educazione e di conversione e all’organizzazione e al rafforzamento della comunità cattolica di Hangzhou, pur tra disagi e pericoli gravissimi». Considerando allora questi tempi e questi impegni, «è quasi incredibile la mole di lavoro che egli riuscì a svolgere in campo scientifico e ancora più incredibile è il silenzio che per tanti anni ha avvolto questa figura eccezionale e che solo di recente ha cominciato a dissiparsi».

DESIDERIO DI MISSIONE
Dopo avere frequentato il collegio dei gesuiti a Trento, nel 1632 Martino entra nel noviziato romano della Compagnia di Gesù, a Sant’Andrea al Quirinale. Il desiderio della missione in Estremo Oriente nasce presto in lui e nel 1634 ne parla in una lettera al Padre generale, Muzio Vitelleschi. Quando la sua richiesta è accolta, focalizza la sua preparazione soprattutto nelle materie scientifiche, facendo tesoro dell’esperienza dei gesuiti che prima di lui sono partiti per la Cina. Di particolare importanza sono i corsi che segue al Collegio romano e fondamentale è l’incontro con Athanasius Kircher (1601-1680), uomo di sconfinati interessi, tra cui la sinologia, e con il quale Martini mantiene un’intensa corrispondenza.

Per giungere in Cina, però, deve far ricorso a tutta la sua tenacia: il primo tentativo risale al settembre 1638, ma alla prima meta, Macao, arriva solo nell’agosto 1640. Tre anni più tardi, finalmente, entra in Cina, a Hangzhou. Lo accompagna il superiore provinciale, Giulio Aleni (cfr Popoli, n 12/2013). Sono anni molto difficili e turbolenti per l’Impero di mezzo: nel 1646, con la morte dell’ultimo imperatore della dinastia Ming, inizia l’era dei Qing, provenienti dalla Manciuria, l’ultima dinastia dell’Impero destinato a crollare all’inizio del Novecento. I gesuiti si trovano, quindi, in mezzo ai lunghi e devastanti scontri del periodo di transizione, che non li lasciano indenni. Martini offre una descrizione dettagliata di questi conflitti nel suo De Bello Tartarico Historia, pubblicato nel 1654 ad Anversa.
Per i suoi contributi scientifici, applicati anche alla difesa militare della nazione, Martini è nominato mandarino poco prima della caduta dei Ming. Ma questo scatena diffidenze, come dimostrano alcuni sprezzanti commenti da parte di missionari degli ordini mendicanti.

LA QUESTIONE DEI RITI
Come i suoi successori, anche Martini deve affrontare un viaggio di rientro in Europa per cercare di far capire, non solo alle Congregazioni romane di Propaganda Fide e del Sant’Uffizio, ma anche agli intellettuali europei, la complessità della situazione in Cina e la ragionevolezza della metodologia adottata dai gesuiti, a partire da Alessandro Valignano (1539-1606). 

Questa era considerata da molti uomini di Chiesa di quel tempo una demoniaca eresia. Come annota Longo nella biografia, «Martini era riuscito a portare a buon fine il delicato e importantissimo compito che gli era stato affidato dai superiori presso il Sant’Uffizio: difendere la posizione della Compagnia di Gesù nella controversia con gli ordini mendicanti sui riti cinesi. La posizione intransigente dei francescani e dei domenicani, che volevano bandire del tutto le tradizioni rituali dei cinesi, considerate alla stregua di ingenue e pericolose superstizioni, e la loro rigidità in termini di presentazione della dottrina cristiana, per cui le verità di fede dovevano essere esposte tutte e subito, anche nei loro risvolti più incomprensibili ai cinesi, minacciavano di compromettere i risultati ottenuti a fatica dai gesuiti».

Durante il soggiorno in Europa, protrattosi per quasi quattro anni, Martini incontra numerosi letterati, scienziati, nonché alcuni editori olandesi interessati alla pubblicazione dei suoi libri. Il gesuita porta con sé molto materiale documentario, storico e geografico, che apre agli europei un ampio e insospettato panorama sul mondo cinese. Illustrando in una serie di conferenze quella vasta parte del mondo quasi sconosciuta e ancora ammantata di leggende, Martini contribuisce a rendere la Cina un Paese «reale».

La sua fama di scienziato e cartografo è legata alla pubblicazione del Novus atlas sinensis, avvenuta ad Amsterdam nel 1655 per i tipi dell’editore Blaeu. Dedicato a Leopoldo Guglielmo, allora governatore austriaco del Belgio, l’Atlante di Martini è un’opera eccezionale per vastità, erudizione e ricchezza di particolari, e sopravanza tutte le precedenti illustrazioni del Celeste Impero, rimanendo ineguagliato per quasi due secoli. L’opera è preceduta due anni prima dalla Grammatica Sinica, in cui, per primo, riassume le principali caratteristiche grammaticali della lingua cinese e pone le fondamenta per lo studio di questa lingua in Europa. Dal 1661 le spoglie sono conservate nella sua Hangzhou, vicino a Shanghai.

Davide Magni SJ 
© FCSF – Popoli