La sentenza emessa il 26 aprile 2012 dalla Corte speciale per la Sierra Leone è destinata a entrare nella storia. Per la prima volta dai tempi del processo di Norimberga (che dal 20 novembre 1945 al 1º ottobre 1946 giudicò i principali gerarchi nazisti), un tribunale internazionale ha condannato l’ex presidente di un Paese. Alla sbarra si trovava Charles Taylor, capo di Stato della Liberia dal 1997 al 2003. I magistrati lo hanno giudicato colpevole per i crimini di guerra compiuti durante il conflitto che ha devastato la Sierra Leone negli anni Novanta e fino al 2002 (la pena che dovrà scontare verrà comunicata solo il 30 maggio). Taylor è stato condannato per aver sostenuto i ribelli sierraleonesi del Ruf (Revolutionary United Front) che hanno arruolato bambini-soldato e hanno compiuto numerose stragi. Il presidente liberiano ha fornito loro armi e munizioni in cambio di diamanti che poi avrebbe smerciato sul mercato nero internazionale.
Se questa sentenza è la prima a condannare un leader politico, ciò non significa che la giustizia internazionale, pur tra mille difficoltà legate ai finanziamenti, alle giurisdizioni e al sostegno delle forze di polizia locali, in questi anni sia rimasta ferma. Ecco il quadro completo della situazione.
EX JUGOSLAVIAIl Tribunale per i crimini nella ex Jugoslavia, la corte speciale istituita dall’Onu nel 1993 per giudicare i responsabili di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità commessi nelle guerre di dissoluzione della Jugoslavia a partire dal 1991, dovrebbe terminare i processi alla fine di quest’anno, mentre gli appelli proseguiranno fino al 2015. Alcune importanti eccezioni riguardano gli imputati più noti: Radovan Karadzic, Ratko Mladic e Goran Hadzic, i leader politici e militari dei serbi di Bosnia e della Krajina (Croazia), che sono stati portati davanti alla sbarra in tempi recenti, dopo anni di latitanza e per i quali sono previsti tempi più lunghi per il giudizio.
Il tribunale con sede all’Aja (Paesi Bassi) è stato il primo di questo genere istituito dai tempi di Norimberga ed è composto da 25 giudici di ogni provenienza. Ha proceduto contro 161 persone, completando il giudizio di 126, con 64 condanne. Il caso più clamoroso è stato quello dell’ex presidente serbo Slobodan Milosevic, il primo capo di Stato processato per crimini di guerra, ma morto durante la detenzione nel 2006 prima del verdetto. Non sono solo serbi gli imputati più noti: anche Ante Gotovina, capo delle forze armate croate (condannato in primo grado a 24 anni di reclusione), e Ramush Haradinaj, kosovaro albanese ed ex primo ministro, attualmente sotto processo, sono stati portati davanti alla Corte.
RUANDAL’8 novembre 1994 il Consiglio di sicurezza ha poi creato il Tribunale penale internazionale per il Ruanda. La Corte, con sede ad Arusha (Tanzania), è chiamata a giudicare i responsabili del genocidio ruandese e di altre gravi violazioni dei diritti umani commessi nel Paese e negli Stati confinanti. È composta da quattro camere (tre di primo grado e una di appello) e da 22 giudici. Le condanne più note sono state quelle di due protagonisti diretti del genocidio: Jean-Paul Akayesu, ex sindaco di Taba, e Jean Kambanda, ex direttore delle Banche popolari ruandesi. Il primo è stato condannato all’ergastolo per il massacro di duemila tutsi rifugiatisi nel suo municipio. Il secondo, anch’esso condannato all’ergastolo, ha confessato non solo di aver distribuito armi e munizioni per l’eliminazione dei tutsi, ma di aver partecipato direttamente ai massacri. Il tribunale ha anche condannato tre responsabili di emittenti radiofoniche e televisive per aver incitato la popolazione al genocidio. Si tratta di Hassn Ngeze, direttore del giornale
Kangura, condannato all’ergastolo; Ferdinand Nahimana, cofondatore della Radio Télévisioni Libre des Milles Collines, condannato a 30 anni; Jean-Bosco Barayagwiza, leader della Coalition pour la Défense de la République, condannato a 35 anni. Il lavoro della Corte non si è fermato qui. Un’altra ventina di responsabili del genocidio sono tuttora sotto processo e undici sono ricercati.
SIERRA LEONELa Corte speciale per la Sierra Leone è stata invece creata nel 2002 per giudicare i crimini commessi durante la guerra civile che ha sconvolto il Paese alla fine degli anni Novanta. Pur avendo la sede ufficiale a Freetown, per motivi di sicurezza i processi si tengono all’Aia. Alla sbarra, accusati di crimini contro l’umanità, crimini di guerra e violazione del diritto internazionale, undici persone. Tra esse il più noto è certamente Charles Taylor. Purtroppo non risponderanno dei loro crimini Foday Sankoh e Sam Bockarie, i leader del Ruf, che sono morti nel corso delle indagini.
CAMBOGIA
Diverso è il caso del Tribunale cambogiano che sta processando i leader
superstiti dei Khmer rossi responsabili del genocidio attuato nel Paese
negli anni Settanta. La Corte (Eccc), istituita in accordo con le
Nazioni Unite e composta da giudici di diversi Paesi, ma in maggioranza
cambogiani, è una sorta di ibrido perché ufficialmente è parte del
sistema giudiziario cambogiano. A partire dal 2007, ha portato a
processo cinque imputati e condannato al carcere a vita Kang Kek Iew,
comandante del centro di prigionia e tortura Tuol Sleng (S-21) di Phnom
Penh. I processi a Ieng Sary e Nuon Chea, collaboratori stretti di Pol
Pot (morto prima dell’istituzione del tribunale) sono ancora in corso.
CORTE PENALE INTERNAZIONALESulla base dell’esperienza dei tre tribunali speciali (ex Jugoslavia, Ruanda e Sierra Leone) e dei tribunali istituiti dopo la seconda guerra mondiale a Norimberga e a Tokyo per giudicare i criminali nazisti e giapponesi, il 17 luglio 1998 è stato firmato lo Statuto di Roma che istituisce e regola la Corte penale internazionale. Lo Statuto di Roma è poi entrato in vigore il 1° luglio 2002 dopo la ratifica da parte di 60 Paesi. Attualmente gli Stati parte sono 121, più della metà dei 193 Paesi membri dell’Onu. Altri 32 Paesi hanno firmato, ma non hanno ratificato il trattato. Tra questi: Israele, Stati Uniti e Sudan. Cina e Russia invece non hanno né firmato né aderito allo Statuto.
Attualmente sono sette i procedimenti e le inchieste in corso, tutti relativi a crimini commessi in Africa: Repubblica centrafricana (per i crimini commessi dal «signore della guerra» Jean-Pierre Bemba), Repubblica democratica del Congo (per i reati commessi durante la seconda guerra civile), Uganda (alla sbarra i responsabili del gruppo ribelle Lord’s Resistence Army), Darfur (per il genocidio commesso ai danni delle popolazioni locali), Libia (guerra civile), Kenya e Costa d’Avorio (entrambe per le violenze commesse durante le elezioni politiche). La prima sentenza di condanna è stata emessa il 14 marzo 2012 ai danni di Thomas Lubanga. Ex militare e fondatore del gruppo filo ugandese dell’Unione dei patrioti congolesi è stato condannato in primo grado per «aver coscritto e arruolato bambini sotto l’età di 15 anni e averli utilizzati per partecipare attivamente alle ostilità».
Presto potrebbe essere giudicato anche l’ex presidente ivoriano Laurent Gbagbo, attualmente detenuto all’Aja e accusato per le violenze commesse durante le elezioni del 2010. Un mandato di cattura pende anche sulla testa di Omar al Bashir, il presidente sudanese in carica. Accusato di crimini contro l’umanità in Darfur, non è però mai stato consegnato al Tribunale dell’Aja.
Enrico Casale
Francesco Pistocchini