Si stanno aprendo spiragli di pace per la Casamance, la regione meridionale del Senegal in guerra contro il governo centrale. Grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio e quella della diocesi di Dakar, i due principali gruppi ribelli ancora attivi hanno accettato di sedersi al tavolo delle trattative con i rappresentanti della Presidenza della Repubblica senegalese. Passi avanti importanti per porre termine a un conflitto che dura da 31 anni, nel totale silenzio della comunità internazionale.
Popoli.info ha intervistato don Angelo Romano, responsabile dell’Ufficio relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio che, proprio a nome della Comunità, ha seguito la trattativa.
Quanti gruppi ribelli operano in Casamance?Sul campo sono presenti tre gruppi. Il più attivo è quello di Salif Sadio, che opera al confine con il Gambia, nella parte settentrionale della Casamance. Il secondo è quello di Cesar Badiate, che ha le proprie basi in Guinea Bissau. Il terzo è quello di Niantang Diatta, che però ha abbandonato la lotta armata ed è considerato fuori dal conflitto. Il gruppo più attivo dal punto di vista militare è quello di Sadio. I miliziani di Badiate, avendo il proprio quartier generale all’estero, sconfinano raramente in Senegal e quindi organizzano un numero minore di azioni militari. Tutti e tre i gruppi si presentano sotto la stessa sigla: Movimento delle forze democratiche della Casamance (Mfdc). La maggior parte dei ribelli sono djola, appartengono cioè all’etnia maggioritaria in Casamance, ma sono presenti anche militanti di altre etnie.
Quando si è tenuto il primo incontro tra le parti?Nell’ottobre 2012 a Roma in seguito a una richiesta avanzata sia dai ribelli di Sadio sia della Presidenza della Repubblica senegalese. Noi abbiamo accettato di mediare proprio perché la richiesta ci è arrivata da entrambe le parti. L’incontro ha portato a un primo risultato: il 9 dicembre i ribelli di Sadio hanno liberato, senza contropartita né riscatto, otto militari senegalesi che erano loro prigionieri.
Il vostro però non è l’unico tentativo di mediazione. Quali altre iniziative sono state organizzate?Contemporaneamente a quella di Sant’Egidio, è in atto un tentativo di mediazione tra la Presidenza della Repubblica e il gruppo ribelle di Cesar Badiate con la mediazione del cardinale Théodore-Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar. Purtroppo non è stato possibile organizzare un unico tavolo di trattativa perché i gruppi di Sadio e di Badiate sono in conflitto tra loro. L’importante però è che ci siano in campo trattative con tutte le frange ribelli.
Non sono stati aperti tavoli di confronto con il gruppo di Diatta?Diatta, pur essendo un leader della guerriglia, già da tempo ha trovato una sorta di intesa con il governo senegalese. Non è un caso che viva a Dakar. Mercoledì ha lanciato un importante appello nel quale si felicita per la liberazione degli ostaggi e chiede a tutti i ribelli di lasciare le armi.
I ribelli che cosa chiedono al governo senegalese?I ribelli rivendicano l’indipendenza della Casamance. Dakar è disponibile a concessioni anche ampie di autonomia, ma non a privarsi di una porzione importante del territorio nazionale. Bisognerà quindi trovare una mediazione tra queste posizioni apparentemente inconciliabili.
Sono in programma altri incontri?Da ottobre a oggi abbiamo avuto incontri bilaterali con le parti. A breve dovrà esserci una nuova iniziativa alla quale parteciperanno tutte le parti. Intanto la Presidenza della Repubblica senegalese ci ha informato che non esiste nessun mandato di cattura nei confronti di Sadio. Ciò è positivo perché semplifica l’organizzazione dei colloqui permettendo al capo ribelle di uscire dai suoi «santuari».
Qual è il primo bilancio di questi incontri?Come Comunità di Sant’Egidio siamo ottimisti. In questo momento esistono molte condizioni favorevoli al raggiungimento di un’intesa tra le parti e, quindi, alla pace. La decisione storica di accettare una mediazione esterna, come quella di Sant’Egidio, è qualcosa che ha cambiato il rapporto tra le parti. Fino all’elezione di Macky Sall infatti tutti i presidenti avevano cercato di gestire in proprio la crisi. I risultati però sono stati fallimentari.
Enrico Casale