Chisimaio è stata liberata. Le milizie shabaab si sono ritirate e la seconda città della Somalia è ora sotto il controllo del governo di Mogadiscio. Ma la stabilità nel Paese è ancora una chimera perché la guerra potrebbe riprendere a breve. Questo è il parere di Emilio Manfredi, analista di International Crisis Group che vive e lavora a Nairobi.
La battaglia per la liberazione di Chisimaio è stata cruenta?No, Chisimaio è caduta perché gli shabaab hanno deciso di ritirarsi. Lo hanno fatto per due motivi. Innanzi tutto sapevano che non sarebbero riusciti a resistere a un’offensiva di un esercito strutturato come quello keniano, coadiuvato dalle milizie somale. Già la scorsa settimana avevano portato via l’artiglieria pesante e avevano ritirato la maggior parte degli uomini. Hanno lasciato in città un piccolo gruppo per simulare una resistenza e seminare l’abitato di trappole esplosive. In secondo luogo gli shabaab non volevano dar vita a un bagno di sangue in città perché, tutto sommato, hanno sempre avuto una buona relazione con la popolazione e parte degli anziani locali.
Gli shabaab che cosa hanno perso ritirandosi da Chisimaio?Perdono un po’ di credibilità. La ritirata da Chisimaio arriva dopo quella da Mogadiscio e adesso non controllano più né la capitale, né la seconda città della Somalia. Perdono anche in termini economici perché il porto di Chisimaio è molto importante e permetteva loro di avere introiti rilevanti. Non solo, ma serviva loro per ricevere rinforzi: armi, munizioni, uomini, ecc.
Gli shabaab sono stati quindi definitivamente sconfitti?No, il movimento mantiene il controllo di porzioni rilevanti della Somalia centro-meridionale. Hanno perso i centri di maggiore importanza politico-strategica (Mogadiscio, Brava, Merca, Chisimaio), cioè quei centri che aprono la Somalia al mondo, ma non hanno perso le parti rurali.
Che cosa comporterà questo?Credo che la prospettiva più probabile sia che a Chisimaio non si trovi un accordo interclanico per la gestione della città dopo l’uscita di scena degli shabaab. Alcuni sottoclan presenti in città si riallineeranno quindi con le posizioni degli shabaab e scoppierà una nuova guerriglia. Gli shabaab dalle loro basi nel Jubaland, una zona ricca d’acqua e di boschi di mangrovie, lanceranno i loro attacchi mordi-e-fuggi contro le truppe nemiche.
Chi ha conquistato Chisimaio?Questa volta non c’erano truppe etiopi sul terreno. Gli interessi etiopi sono rappresentati dalla fazione di Sheikh Ahmed Madobe. Le truppe keniane hanno invece pesantemente bombardato Chisimaio per un paio di giorni nonostante fosse chiaro che non ci sarebbe stata una forte resistenza degli shabaab. Lo hanno fatto perché è un esercito piuttosto impaurito e impreparato alla guerra. Ma anche per una ragione mediatica. Da mesi i militari di Nairobi sono stati messi alla berlina dai media keniani e internazionali perché non erano in grado di avanzare di 10 km senza ingenti perdite di vite umane. La testa-di-ponte che ha vinto la miniresistenza degli shabaab era però formata da uomini bianchi arrivati in aereo da Gibuti e poi paracadutati. Molto probabilmente erano uomini delle forze speciali inglesi, francesi e statunitensi. Anche se poi la propaganda dirà che sono stati i keniani a prendere la città, in realtà non è stato così.
Il supporto straniero alle istituzioni somale è ancora fondamentale?Sì e lo rimarrà ancora per molto. La maggior parte del territorio non controllato dagli shabaab è sotto occupazione straniera. La stabilità della Somalia è quindi legata a questa presenza. Senza queste forze Mogadiscio, Baidoa, Chisimaio non sarebbero state conquistate. L’attuale presidente poi non ha milizie proprie. A Mogadiscio dicono che Hassan Sheick Mohamoud è un uomo solo che dipende totalmente dalla protezione di ugandesi e burundesi per la sua sopravvivenza personale, prima che politica. Certo è discutibile che qualunque tipo di stabilità in Somalia sia garantita e mediata dalla presenza dell’Ua e dalle incursioni delle forze speciali franco-americane.
Quale futuro avranno le neonate istituzioni somale?Il presidente non ha una storia politica e di coinvolgimento nelle passate vicende somale. Ciò è un bene perché in Somalia ciò che riguarda la politica negli ultimi vent’anni è sempre stato macchiato di sangue. Hassan Sheick non ha però mai portato morte in Somalia. È una novità interessante, ma ci sono una serie di difficoltà difficilmente superabili. La prima di queste è che il sistema di microstabilità dipende dalle forze militari straniere e non si vede un accordo nazionale anche federale, interclanico che porti a un processo di pacificazione della società somala.
La coalizione filogovernativa è compatta?No, tutt’altro. Tra le forze straniere non esiste un accordo. Burundesi e gibutini sono presenti unicamente per accaparrarsi i fondi destinati alle truppe. Ugandesi, etiopi e keniani non hanno agenda comune. Gli etiopi sono preoccupati dell’elezione di Hassan Sheick. Il musulmano Qatar lo ha sostenuto economicamente durante le elezioni (è cosa nota che in Somalia l’elezione passi attraverso il versamento di oboli). Gli etiopi stanno quindi aspettando che si formi il governo e vogliono vedere quali posizioni politiche assumerà l’esecutivo. Se Addis Abeba dovesse notare che il nuovo governo le è ostile, potrebbe reagire. A questo va aggiunto che Yoweri Museveni, il presidente ugandese, a maggio ha fatto visita a Isayas Afeworki, il presidente eritreo. Ciò ha messo in apprensione il governo etiope che teme un asse Eritrea-Uganda.
Il Kenya e i francesi vorrebbero invece creare il Jubaland, uno Stato cuscinetto tra Kenya e Somalia. Gli etiopi sono allergici a una situazione di questo tipo perché la zona è abitata da somali ogadeni che potrebbero fornire appoggio all’Olnf, l’organizzazione che combatte Addis Abeba per ottenere l’indipendenza dell’Ogaden. Infine le truppe keniane difendono gli interessi francesi e norvegesi nella zona di Lamu, Raas Kaamboni e Chisimaio. Quando il governo di Sheick Sharif prese il potere dopo gli accordi di Gibuti firmò un dubbio accordo in cui di fatto venivano cedute grandi porzioni di acque territoriali somale al Kenya. Acque nelle quali sembra ci siano importanti giacimenti di gas e petrolio, sui quali pare che la Total e un gruppo norvegese abbiano puntato gli occhi.
Enrico Casale
Nella foto, marines keniani appena sbarcati sulla spiaggia di Chisimaio.