Ha un presidente, un governo e un parlamento. Ha anche forze armate ben organizzate e infrastrutture in buone condizioni per gli standard africani. Eppure per la comunità internazionale il Somaliland, che il 18 maggio ha festeggiato i vent’anni dalla dichiarazione di indipendenza, non esiste. Nessuno Stato ne ha mai riconosciuto l’autonomia. Così, pur essendo l’unica regione della Somalia in pace e con istituzioni democratiche solide, è costretto a sopravvivere in una sorta di limbo diplomatico.
Luca Ciabarri, professore di Antropologia nelle università di Pavia e Milano Bicocca e autore del libro
Dopo lo Stato: storia e antropologia della ricomposizione sociale della Somalia settentrionale (Franco Angeli, Milano 2010, pp. 256, euro 28), ha studiato il «caso Somaliland». A lui abbiamo chiesto di parlarci di questo Stato anomalo.
Perché la comunità internazionale non riconosce ufficialmente il Somaliland?Secondo i diplomatici europei e statunitensi, all’inizio degli anni Novanta (quando è scoppiata la crisi somala) il riconoscimento dell’indipendenza avrebbe potuto compromettere il processo di pace nel Sud della Somalia. Per questo motivo, l’Unione europea e gli Stati Uniti non hanno voluto separare i destini delle regioni meridionali da quello delle regioni settentrionali. L’Unione europea e gli Stati Uniti negli anni hanno poi chiesto all’Unione africana di pronunciarsi, dicendo che si sarebbero adeguati alle sue posizioni. Per l’Unione africana, però, riconoscere nuovi Stati, mettendo in discussione i confini lasciati dai colonizzatori, è un tabù. Ciò significherebbe che ogni movimento indipendentista in qualsiasi Stato africano potrebbe invocare come un precedente l’eventuale indipendenza del Somaliland. Si aprirebbero quindi una serie infinita di controversie. Nella questione del Somaliland anche gli Stati confinanti hanno avuto comportamenti divergenti, ostacolando o promuovendo l’indipendenza a seconda dei loro interessi nazionali. Per esempio, l’Etiopia ha sempre voluto una Somalia debole e quindi è favorevole all’indipendenza del Somaliland. Al contrario, i Paesi della penisola araba hanno sempre detto di essere favorevoli a uno Stato somalo forte e unito, quindi si sono sempre battuti contro il riconoscimento internazionale del Somaliland.
Le tensioni etniche che sconvolgono le regioni meridionali della Somalia non sembrano interessare il Somaliland. Perché?Il Somaliland ha una storia diversa dal resto della Somalia. Quando nel 1991 si è separato dalle regioni meridionali, era ancora viva la memoria della forte repressione che nel 1988 il governo centrale del dittatore Siad Barre esercitò sul Nord, bombardandone tutte le città. Questa repressione ha legato in qualche modo i gruppi del Nord: gli issa (maggioritari), i gadabursi e i darood. Quando nacque il Somaliland, poi, i gadabursi si integrarono molto bene con gli issa perché fecero da pacieri nei conflitti tra i sottoclan degli issa. Questi elementi hanno creato una coesione nazionale forte che contrasta con i conflitti clanici nel Sud. Il presidente uscente (2003-2010) era gadabursi, l’attuale presidente Mohammed Silanyo è invece issa.
L’assetto istituzionale del Somaliland, che mescola elementi tradizionali a quelli di una democrazia occidentale, può essere anche un modello per la Somalia meridionale?Sì, senza dubbio. Il Somaliland è riuscito a creare un quadro istituzionale che comprendesse tutti i gruppi e, allo stesso tempo, a introdurre un sistema multipartitico con correttivi elettorali che hanno impedito che singoli partiti si identificassero con singoli clan.
A ciò va aggiunto un altro elemento molto importante. Il Somaliland ha sempre avuto una forte tradizione di mediazione. Per evitare che i conflitti e le tensioni tra gruppi sfociassero in guerra aperta, le tensioni sono sempre state mediate non all’interno delle istituzioni, ma da comitati esterni di arbitrato composti da autorità tradizionali ed elementi rispettati delle comunità. Questi comitati hanno aiutato il processo di introduzione al multipartitismo e sono sempre intervenuti nei momenti in cui c’erano conflittualità e tensioni interne.
Quali rapporti ci sono con Mogadiscio?Sul piano politico con il governo di transizione di Mogadiscio non ci sono rapporti. Credo che, finché a Mogadiscio non prenderà il potere un governo stabile che si limiti a controllare solo la capitale, non si instaureranno relazioni con il Somaliland, perché questo significherebbe farsi trascinare nell’instabilità. Rapporti positivi ci sono però tra le popolazioni del Nord e del Sud. Quando alla fine del 2006 l’Etiopia invase la Somalia, molti somali del Sud trovarono rifugio nel Nord. Il Somaliland, tra l’altro, continua a ospitare chi fugge dalla guerra del Sud.
Quali sono i rapporti tra Somaliland e il confinante Puntland, l’altra regione somala semiautonoma?Somaliland e Puntland, da sempre, si contendono la provincia del Sanaag, abitata dai darood, lo stesso clan maggioritario in Puntland. La controversia si è trascinata negli anni (con diversi scontri militari, l’ultimo nel 2007) e ha avuto esiti positivi per l’una o l’altra parte a seconda del maggiore peso politico internazionale che in quel momento avevano il Puntland e il Somaliland. Attualmente il progetto di trasformare il Puntland in uno Stato è naufragato e quindi è più debole. Il Somaliland ha approfittato di questa debolezza e la regione del Sanaag è tornata quasi interamente in mano di Hergeisa. Però rimane sempre una questione precaria.
Quali sono i rapporti con l’Etiopia?I rapporti sono molto buoni anche se il Somaliland, che è un piccolo Stato, vede l’Etiopia come un vicino un po’ ingombrante. Addis Abeba considera il Somaliland come un Paese strategico perché rappresenta uno dei pochi sbocchi al mare. Gli etiopi cercano di stringere rapporti sempre più stretti con il Somaliland. Forse troppo stretti, al punto tale che, a volte, sembra vogliano ingerirsi troppo degli affari interni di Hargeisa. Il Somaliland da parte sua collabora con l’Etiopia, ma cerca anche di mantenere la sua autonomia.
Enrico Casale