I dati definitivi saranno annunciati solo il 31 gennaio e ufficializzati il 14 febbraio, ma ormai è certo il Sud del Sudan diventerà indipendente. L’affluenza si è attestata intorno al 99% degli aventi diritto quindi ampiamente al di sopra del 60%, soglia fissata dall’Accordo di pace del 2005 come indispensabile affinché il referendum fosse valido. Secondo le prime proiezioni, basate sui risultati del voto all’estero e nel Nord del Sudan, si sarebbero espressi per il «sì» alla secessione il 99% dei votanti. Ma dopo la ormai inevitabile dichiarazione di indipendenza cosa succederà nel Sud del Sudan?
«Molti si chiedono quali sono le prospettive future della giovane nazione - spiega Mike Schultheis, gesuita statunitense, vice rettore dell’Università Cattolica del Sudan -. Le sfide che il Paese si troverà di fronte fanno tremare i polsi. La popolazione è in gran parte dedita a un’agricoltura di sussistenza ed è quindi molto povera. Circa la metà della popolazione ha meno di 18 anni. Il 27% di chi ha più di 15 anni è analfabeta e solo il 37% di chi ha più di sei anni frequenta la scuola. Migliaia di persone stanno tornando nelle regioni meridionali del Sudan e hanno bisogno di assistenza per ricostruire le loro abitazioni e per reinserirsi nelle loro comunità».
Il governo del Sud del Sudan è pronto per questa sfida? Nel 2005, subito dopo la firma degli accordi di pace, il governo del Sud ha definito una strategia per creare una struttura amministrativa efficiente e per garantire l’accesso ai servizi pubblici. Le priorità dell’esecutivo, in particolare, erano due: assicurare la sicurezza alimentare alla popolazione e ricostruire il sistema educativo. Il governo, insieme ad altri governi di Paesi esteri, alle organizzazioni internazionali e alle Chiese sta ancora lavorando per raggiungere questi obiettivi.
Non esiste il rischio che scoppi una nuova guerra prendendo a pretesto le molte questioni irrisolte tra Nord e Sud? Commissioni speciali stanno lavorando per dirimere i principali problemi rimasti aperti: demarcazione delle frontiere, ripartizione dei proventi derivanti dallo sfruttamento delle risorse naturali, equa divisione del debito pubblico nazionale, creazione di un sistema finanziario, cittadinanza, creazione di infrastrutture sociali (scuole, ospedali, strade, ecc.). I vescovi sudanesi nella Lettera pastorale pubblicata nel novembre 2010 hanno chiesto a Nord e Sud di scongiurare il più possibile la guerra e di guardare al di là del referendum cercando di costruire nuove relazioni tra i due popoli. Io faccio mio questo invito.
Quale contributo può offrire la comunità internazionale al processo di pace e alla costruzione del nuovo Stato? La nascita del Sud del Sudan non è qualcosa che può essere fatto in un mese o in un anno. È il compito di questa generazione e di quella successiva. Il supporto della comunità internazionale nei prossimi mesi sarà quindi essenziale. Il governo del Sud Sudan dovrà essere aiutato da molti amici (governi stranieri, Ong, comunità ecclesiastiche, ecc.) per realizzare un sogno che per troppo tempo è rimasto incompiuto.
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